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Salerno e la città come brand

Il marchio come sintesi di un piano
di Pino Grimaldi

Neppure Milton Glaser sa spiegarsi come il suo notissimo “I love NY” possa essere divenuta una delle “icone” più note – e più rubate – al mondo. Da allora molte città hanno immaginato elementi distintivi, mai però così potentemente sintetici e riassuntivi di un claim “Io amo New York”. È stata la più nota e felice azione di marketing territoriale della storia del XX secolo e del design grafico (perché è di questo che parliamo, anche se le etichette disciplinari fanno fatica a resistere al blur della contaminazione). Si voleva lanciare un messaggio preciso anche ai residenti: “NY non è un covo del crimine”. Dove risiede la geniale trovata? I semiologi direbbero nell’iconizzazione della scrittura che rende icastica la soluzione verbo-iconica di Glaser; personalmente credo che essa rappresenti anche il primo esempio di rara fusione tra marketing e design, ovvero il logotipo (si chiama così) riassume claim e concept in una immagine unica che esprime da sola la forza di un concetto con una potente memorabilità.

Del resto, molti anni dopo, senza molta fantasia, è nato “Monaco ti ama”. Tuttavia vivendo qualche giorno a Monaco non si percepisce una strategia per far sentire graditi gli ospiti e neppure che la cultura dell’ospitalità sia particolarmente sviluppata – come in oriente ad esempio – al punto da giustificare un claim così impegnativo come “Monaco ti ama”. È proprio il caso di parlare di eccesso di promessa, un errore che nel marketing accade molto spesso. Dietro un’idea che viene sintetizzata in un claim dovrebbe sempre esserci una strategia molto elaborata che prevede azioni di formazione del front office, ad esempio, e una serie articolata di strumenti per i quali si comprenderebbe molto meglio la sintesi proposta nell’attività di comunicazione. Quando una headline è un puro esercizio linguistico e non il risultato di un preciso posizionamento si comprende quanto inefficace possa essere la comunicazione e conseguentemente vani gli investimenti.

Un’esperienza affine la possiamo trovare nel lavoro di Massimo Vignelli – autentico pioniere del design made in Italy che vive a NY – per una Casa vinicola campana, Feudi di San Gregorio. La soluzione di design è la più innovativa invenzione nel packaging del settore vitivinicolo italiano. Vignelli ha creato un sistema di labelling che è insieme marca (nome dell’azienda) e marchio (i suoi prodotti), i vini. La tipografia si presenta, in un campo modulare quadrato, ad esempio: “Rubrato Feudi di San Gregorio”, crea una sintesi efficace tra il nome del vino (o in altre occasioni del vitigno) e l’azienda, marca, che lo produce. Inoltre, come spesso accade si vedono solo alcuni prodotti, ma al Vinitaly si ammirava uno stand modulare quadrato che esprimeva il meglio della corporate identity made in Italy. Per non dire della raffinata iconografia scelta tra le meraviglie musive che il territorio campano offre agli intenditori, con un connubio arte-vino ineguagliato e – spesso – pateticamente scimmiottato. Anche in questo progetto, che collocherei tra le grandi opere del design XXI (il lavoro è del 2001) si percorre una dimensione blur tra design e marketing.

Anche Massimo Vignelli rientra, dunque, perfettamente nella strategia del Sindaco De Luca di affidarsi alle grandi firme, dopo l’architettura, la musica, ora anche il design.

Il progetto di un city brand e di un sistema di identità visiva come altrove ho definito queste attività del design (Grimaldi, 2004) è tuttavia solo la punta di un iceberg, come convengono gli autori del Rapporto Eurocities, che analizza il branding in 40 città europee. Ci hanno provato molte città a realizzare un marchio, ma poche hanno inserito questa azione in un più ampio contesto. Roma, con un concorso oneroso, pasticciato e inefficace, Venezia con la direzione artistica di un’altra star del design come Philippe Stark, ma senza grande successo e poi Amstedam, Genova, Berlino, Parigi, Londra, laddove si evince che un marchio – come spesso si tende a credere – non è sufficiente. Un marchio ed il suo sistema di identità visiva è solo ciò che si vede, la risultante di un insieme di azioni, di strategie attrattive che devono tendere a trasformare i servizi in valore percepito.

Ma non è neppure con la paccottiglia dei gadget che si qualifica il brand. Con l’obiettivo di posizionare Salerno nel mercato del turismo, sempre più competitivo e sempre più affollato di offerte, la città diventa una marca e le azioni da intraprendere sono molte, necessariamente coordinate e non possono che riguardare i punti di forza di ogni “prodotto/servizio”. Come ha suggerito Jeremy Rifkin, ormai i prodotti perdono progressivamente il loro status per acquisire quello di servizi. E i servizi dovranno saper esprimere il maggiore vantaggio competitivo, con estrema chiarezza ed efficacia, non solo visuale, ma tangibile e concreta. Sembra un paradosso, ma più si sviluppa l’immaterialità e la liquidità di un mondo fluido e maggiormente le offerte di prodotti/servizi dovranno avere appeal tangibili.

La Spagna utilizzò il famoso “Sorridi sei in Spagna”, trasferendo quel senso di gioia che ogni “viaggiatore” vuole provare (brutta parola “turista”). Salerno possiede una posizione strategica per offrire un prolungamento tra le due coste ricchissime di meraviglie, l’area cilentana e la costiera amalfitana, con attrattori e itinerari unici al mondo. E questa posizione, con le infrastrutture portuali e di accoglienza in corso, non mancherà di dare soddisfazione al comparto del turismo, se tutti gli attori lavoreranno in sinergia e Salerno saprà fungere da Regista con la qualità e l’eccellenza dei servizi, senza disperdere risorse. Fino ad oggi ciascuno ha collocato il proprio “marchietto” su modesti strumenti di comunicazione, ciascuno per proprio conto. Questo non è più possibile, i territori devono muoversi come le imprese, corporate design, identità visiva e marketing territoriale.

In altri termini anche il progetto di un mito del design come Vignelli necessiterà di un Piano di marketing e di un sistema molto solido di azioni e di servizi a contorno, perché dell’immagine della città non resti solo un pittogramma sovra-rappresentato.

 

 

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