Perchè non ti iscrivi
alla nostra News letter?


Riceverai gli aggiornamenti sulla nostra attività

Scrivi qui la tua mail:

L'indirizzo e-mail non verrà divulgato a terzi, sarà trattato secondo normativa vigente.

Intervista a Pino Grimaldi: “La pubblica utilità”

1. Cosa ha rappresentato per Lei l’esperienza professionale, a cavallo fra gli anni ’70 e ’80, nel settore della grafica di pubblica utilità?

Ho cominciato a lavorare nel 73, con Gelsomino D’Ambrosio, con il quale ho condiviso l’attività per oltre trent’anni, fino alla sua fine nel 2006. Fino ai primi anni Ottanta la nostra attività professionale è stata caratterizzata da una committenza pubblica per ragioni di tipo relazionale. Ho fatto nel ‘73 la prima campagna per il Partito Comunista Italiano di Salerno, poi l’Università degli Studi di Salerno mi ha commissionato alcuni lavori, allora era attivo Filiberto Menna, uno dei più straordinari critici d’Arte italiani. Con Menna e Beppe Bartolucci nacque la Prima rassegna del Teatro-immagine (una delle prime uscite di Benigni, di Memé Perlini, di leo De Berardinis etc.) e mi fu affidato il manifesto della prima Rassegna, poi da cosa nasce cosa…
Da noi, in provincia, non c’erano grafici, non se ne conoscela il lavoro ed era difficilissimo trovare lavoro, tanto è vero che facevo anche il fotografo.
Con Filiberto Menna, Angelo Trimarco, Achille Bonito Oliva, Rino Mele, Silvana Sinisi, gli intellettuali che frequentavo nella mia città, ho fotografato tutte le mostre degli anni settanta, Biannale, Contemporanea, etc. per conto dell’Università (dove le lezioni di Storia dell’arte si fanno ancora con le mie foto); ho viaggiato e conosciuto gente, artisti, grafici e autori.

2.Quando ed in che modo si è reso conto che qualcosa stava cambiando?

Non capisco la domanda, la storia degli anni settanta è nota, ma l’attività grafica per noi, in una città di provincia, era marginale, sono stati i contatti e le relazioni che mi hanno fatto crescere culturalmente. Quando ero studente passavo le notti con Filiberto Menna ed il suo gruppo, Achille Bonito Oliva, Silvana Sinisi, Angelo Trimarco, Rino Mele e molti altri amici-docenti della mia università ed era un’esperienza culturale ed esistenziale continua. Sono stato veramente fortunato.
La spinta all’innovazione che Filiberto ha impresso all’Università, alla critica d’arte alla città è stata fortissima.
A me ha insegnato che per capire bisogna studiare, vivere il nuovo senza pregiudizi ma nessun metodo produce risultati immediati e senza sforzo!

3. La stagione della grafica di pubblica utilità ha rappresentato soltanto una breve parentesi che si è definitivamente conclusa, oppure ha contribuito in maniera significativa alla storia della grafica italiana? Cosa ha prodotto? Cosa ha migliorato? Cosa è rimasto degli intenti del movimento? E quali sono state le “conquiste”?

Di quello che lei chiama “movimento” non credo sia rimasto nulla. Si tratta a mio parere solo di un gruppo di amici il cui lavoro comune si è dissolto nelle vite separate di ognuno. Credo non sia rimasto nulla, come sempre accade, salvo qualche seme gettato nella formazione culturale e nei pochi scritti di quelli di noi che hanno capito che la “fondazione disciplinare” passa attraverso lo studio e la ricerca scientifica e non solo attraverso l’attività professionale.
Questo è rimasto.
Pensi che dopo GRAFICA, a parte “Linea Grafica” che ha una impostazione diversa, non è nato più nessun tentativo di approfondire il corpus teorico-disciplinare della Grafica, anche perché sono cambiate molte cose, nel mondo della comunicazione, come lei sa. Personalmente credo che non si debba neppure parlare più di grafica, ma di Design grafico, come acutamente già da molti anni suggerisce Daniele Baroni con il suo manuale.

4. Cosa ha portato questo “movimento” alla dissoluzione o, se preferisce, alla trasformazione?

La mancanza di istituzioni che ne favorissero la condivisione. E preferisco non dire altro.

5. Quali sono state le pecche o, se ci sono state, le ingenuità di questo movimento? Cosa non si è tenuto in considerazione? Se secondo Lei si è dissolto, era inesorabilmente destinato a svanire dopo una fase così attiva e prospera, oppure avrebbe potuto sopravvivere modificando qualcosa nel suo modo di operare?

Mi scusi, ma quale sarebbe questa fase attiva e prospera?

 6. Attualmente ci sono in Italia degli esempi riconducibili a quella che è stata l’esperienza progettuale del “movimento della grafica di pubblica utilità”? Negli ultimi anni Le è stato affidato qualche progetto rilevante da parte della committenza pubblica?

Certamente, ma lei valuta le cose con un’ottica professionale, mentre io le valuto con una logica d’impresa.
A mio parere non è Pino Grimaldi o Gelsomino D’Ambrosio che ricevono un’incarico, ma è Segno Associati che propone un progetto ad una amministrazione pubblica o vince una gara d’appalto per un piano di Comunicazione.
La legge non prevede incarichi professionali ad personam per la comunicazione. Normalmente si devono bandire delle gare di appalto. Gli incarichi sono eccezioni rare.
Abbiamo lavorato per molti comuni e istituzioni nazionali e internazionali: il Parlamento Europeo, il Cedefop di Salonicco, l’Unione Europea, nella maggior parte dei casi vincendo gare, senza conoscere nessuno. Poi sono nate relazioni, poi con un po’ di relationship marketing si fa il resto, etc.

7. Come si presenta lo scenario per quanto concerne l’attività comunicativa degli Enti Pubblici? Quale peso attribuiscono le amministrazioni/istituzioni ad una accurata progettazione della propria comunicazione per i cittadini/utenti? I comuni investono ancora nella comunicazione?

Credo che salvo molte eccezioni, ci sia negli amministratori poca sensibilità alla qualità del design, che non viene proprio percepita, ma siamo sempre all’approccio.
Non credo che la logica professionale sia vincente per la comunicazione pubblica.
Vince la logica d’impresa, l’approccio propositivo che unisce i parametri che oggi, nella net economy, sono più critici: l’organizzazione, la formazione, il marketing, le soluzioni per l’e-government, è banale proporre ancora il design dello stemma civico.
I problemi di una amministrazione sono l’eccesso di tasse locali che i cittadini mal sopportano, la carenza di risorse finanziarie per gestire le opere pubbliche, la difficoltà di far funzionale la macchina burocratica, gli anziani, le strutture pubbliche, etc. Lei pensa che la grafica possa risolvere questi problemi? O serve piuttosto una comunicazione complessa, che sappia analizzare la customer satisfaction, capire cosa è stato percepito delle opere pubbliche avviate, e così via e solo allora progettare la comunicazione.
Ma semplifico per ragioni di spazio.

8. E all’estero come si presenta il panorama riguardante la grafica di pubblica utilità?
Non credo che ci sia molta differenza ormai il mondo è globalizzato in tutto, nel male, ma anche nel bene per fortuna. I problemi sono più o meno gli stessi. Certo, ogni paese vive attraverso la sua storia. È chiaro che in Germania, in Inghilterra, il design gode di una sensibilità più ampia.

9. A quasi quindici anni dalla stesura della Carta del Progetto Grafico cosa ha significato? Ha rappresentato la sintesi di un percorso professionale? Secondo Lei questo documento dovrebbe essere rivisitato o ampliato nell’attuale contesto in cui si trova ad operare la comunicazione visiva?

Mi perdoni, ma non si rende conto di quanto sia ridicolo continuare a citare quel documento, dopo il quale non ce ne sono stati altri, non le sembra patetico?

10. Oggi ha ragione di esistere una distinzione fra pubblicità e campagne promozionali di pubblica utilità? Il settore della grafica di pubblica utilità, se attualmente esiste o comunque nel limite in cui esiste, presenta una propria identità (linguaggi, strumenti, stili precisi, figure professionali più preparate) che lo differenzia dal settore privato?

Ha ragione di esistere in approccio metodologico al lavoro di comunicazione diverso. Il creativo di pubblica utilità – e mi passi l’ironia – lavora indifferente al metodo ovvero agli obiettivi di comunicazione, di marketing, lavora indifferente al target, utilizzando una creatività “a priori” che prescinde da tutto tranne che da se stessa. Si comporta come un artista.
Il comunicatore si comporta come un designer, analizza il problema di comunicazione, il target al quale ci si deve rivolgere, magari dopo una pur minima segmentazione sceglie il segmento giusto, sviluppa il content design, e alla fine trova il linguaggio più rispondente alla sua analisi.
Conosce il libro di Munari, Artista e designer?, spero di si, ecco, il creativo di “pubblica utilità” si pone come un artista, non come un designer.

11. All’interno dello spazio del territorio urbano, che posto occupa la grafica di pubblica utilità in relazione alla grafica commerciale e alla pubblicità?

Non credo che esista una differenza così netta; nello spazio urbano vi è la comunicazione pubblica, nelle strutture delle affissioni e in pochi altri “luoghi”, altre manifestazioni di comunicazione commerciale, insegne dei negozi, manifesti pubblicitari luminosi, transenne stradali e così via, ma in un continuum indistinto ed indifferenziato.

12. Una nuova fase di questa attività socialmente utile potrebbe in qualche maniera riacquistare interesse e attenzione da parte del mondo della comunicazione visiva e delle istituzioni oppure sarebbe assolutamente utopistica, idealista, inadatta all’attuale contesto socio-economico-culturale? Se questo movimento rivivesse una nuova stagione, in che rapporto potrebbe porsi con la grafica commerciale?

Con i se non si fa la storia e neppure la vita!

13. Considerando la singolare situazione socio-economico-culturale che stiamo vivendo, il fiorire di un gran numero di movimenti spontanei di protesta e denuncia sociale nei confronti delle istituzioni politiche ed economiche, è possibile, secondo Lei, prevedere per il settore della grafica e della comunicazione visiva un percorso simile a quello della grafica di pubblica utilità ed una prospettiva di sviluppo per la committenza no-profit (campagne sociali, iniziative politiche e culturali) nell’interesse di educare, di informare la collettività, di progettare servizi per la società, in sostanza di migliorare la vita di una comunità?

Se lei non studia il Marketing non troverà mai le risposte giuste alle sue domande. Tutte le cose che chiede sono governate e gestite dalle attività di marketing sociale i grafici, meglio i designers sono dei semplici esecutori di decisioni altrui.

© Copyright 2011 Blur S.r.l. | P.IVA 05116051219 | Cookie & Privacy Policy