La città brand: Il caso Salerno
La città brand è un Piano
di Pino Grimaldi
La vicenda del “brand Salerno” ha avuto uno sviluppo interessante per gli antropologi della dimensione digitale e della comunicazione, con un grande successo di partecipazione, spesso critica, altre volte ironica, segno di una esuberante vitalità per una comunità. La Rete va presa per quello che è e per quello che può dare: “niente di più, niente di meno”, come la vera eleganza per Lord Brummell. Ma non va mai ignorata; è perfino capace di contribuire, non poco, ad eleggere un Presidente degli Stati Uniti. D’altra parte, più se ne parla e si mostra, un brand, più facilmente penetra nell’immaginario collettivo e si associa alla città, più diventa “città-marca”.
Ora però credo sia giunto il tempo della riflessione, delle considerazioni più meditate
e di merito, rispetto al progetto di offrire a Salerno un nuovo strumento di identificazione visiva e di marketing, accanto alla visione della “città futura.”
Un brand non vive solo della sua qualità intrinseca, formale, ma si alimenta soprattutto del suo “sistema” di regole e applicazioni. Un brand è solo la punta di un iceberg, non è solamente un bel segno, è un progetto, associato ad una Visione aziendale o politica e ad una Missione per realizzarla. È molto di più di un progetto di design grafico. Inoltre esiste il problema delle declinazioni che un sistema di identificazione deve possedere; e anche la triade delle possibilità che il marchio può avere: un logotipo, una parola: “Olivetti”; un pittogramma, una figura: “mela”; un diagramma: il marchio “Mercedes”, in più quelli che io chiamo “accoppiamenti giudiziosi”: l’insieme combinato di alcuni di questi elementi.
Il “brand Salerno”, occorre chiarire, non è lo stemma civico – che Vignelli ha anche in parte rielaborato a partire dalla nostra versione (di Gelsomino D’Ambrosio e mia) del 1996, lasciando intatto il disegno del San Matteo nella soluzione iconografica del santo “scrivente”. Infatti l’altra versione dell’immagine del santo, presente nella lunetta dell’esonartece del Duomo, è quella del santo benedicente (peraltro nelle versioni più datate dello stemma, la figura di San Matteo è rappresentata benedicente e tenente con la sinistra il Vangelo ormai compiuto). Prevalse allora la scelta iconografica più laica. Partimmo da uno studio storico-iconografico (collaborarono con noi Maurizio Ulino per la parte storico-iconografica ed Enzo Pinto per la parte grafica), fino alla formazione-affiancamento di risorse interne all’amministrazione. Anche allora, ricordo, ci furono polemiche infinite e tanta confusione. Il nostro progetto era relativo allo stemma civico e all’identità visiva del Comune, non era un “city brand”. Occorreva prima costruire l’identità visiva dell’amministrazione.
Se un successo possiamo attribuire a quel progetto esso risiede nella comunicazione del Comune, che da allora possiede una identità coerente e riconoscibile perché frutto di quella grammatica visiva e dell’ottima interpretazione che ne è stata fatta da parte dell’ufficio grafico del Comune.
Ora siamo in un nuovo mondo e chi non si rinnova si spegne. L’idea di De Luca di dare alla città un “brand Salerno” è parte dell’evoluzione delle strategie di sviluppo socioeconomico della città e si muove in un terreno abbastanza nuovo per il nostro paese, ma direi anche per la nostra politica. Basta pensare al “disastro” d’immagine realizzato a Napoli, città che si muove senza una strategia comunicativa, anzi dissipando l’enorme potenzialità di una realtà incredibilmente vitale, ricca di patrimonio, creatività umana e storica unica al mondo.
Un pittogramma o un logotipo?
La classifica dei primi cento marchi al mondo, per valore economico, vede solo l’11% realizzati come pittogrammi o monogrammi. E nei primi 10, l’unico monogramma è la “M” di Mc Donald’s, che raramente vive da sola. Da Cocacola a IBM, da Microsoft a Google siamo in presenza di logotipi o fonogrammi (dipende dalla disciplina che utilizziamo per descriverli).
Inoltre basterebbe anche pensare a quanto più accurati e delicati siano, in alcuni casi, i decreti attuativi di una legge, rispetto al testo stesso della legge, che risulterà chiaro il fatto che un marchio, da solo, per il fatto di essere stato progettato, non crea necessariamente la brand awarness (la consapevolezza di una marca); è tutto quello che segue il progetto che crea la vita di un brand.
Il marchio, la mela della Apple è straordinariamente efficace (anche nella sua metafora mitologica (la California che morde la grande mela), ma parliamo di un marchio che vale oltre 21 miliardi di dollari e che è entrato con un posizionamento nella mente degli “adepti” grazie ad investimenti decennali sul “think different”, il “pensiero diverso” della casa di Cupertino. Molti appassionati ricorderanno anche la mela iridata degli anni Novanta.
Dunque Salerno dovrà darsi un Piano di Marketing con iniziative di “merchandising”, parola che non esiste in italiano e che possiede diversi utilizzi, ma qui è intesa nel senso di utilizzare un brand noto per vendere prodotti o servizi. Ed è proprio quello che può fare Salerno – e che in parte sta già facendo – per offrire una selezione di eventi, gadget, spettacoli, servizi che assumeranno, se “brandizzati”, un valore di selezione del meglio che la città, le imprese, gli attori economici, sapranno ideare e attivare.
Oltre al design di un marchio esistono molti altri valori da “costruire” per una marca, attraverso molte a articolate azioni. E per gli specialisti già marca e marchio non sono evidentemente la stessa cosa. Ma di tutta una strategia il marchio è solo la parte più visibile, per questo non mi appassiona particolarmente il dibattito sulle sue qualità estetiche e metaforiche; non perché il design non sia importante, è certamente fondamentale, ma qui il tema centrale che non deve sfuggire è la promozione della città. Quello che mi sembrava di cogliere al fondo del dibattito era un banale: “Lo sapevo fare anch’io”, pur molto partecipato, che riempiva la rete ed i social network, insieme al “mi piace” Vs. “non mi piace più”. È un livello di dibattito da bar dello sport, tutti parlano di comunicazione, come tutti sono esperti di sport (calcio).
Anche i tagli di Lucio Fontana li possono fare tutti. Dopo che l’autore li ha inventati, però. Come diceva Munari, “quando qualcuno dice: questo lo so fare anch’io, vuol dire che lo sa rifare, altrimenti lo avrebbe fatto”.
Quando Veltroni propose il nuovo simbolo del PD, fui uno dei pochi in Italia credo, a sostenere che andava bene per un’impresa petrolifera o per una catena di supermercati. Oggi ormai nessuno più discute del monogramma del PD, ma che esso rappresenti una identità sfuggente, anche perché privo delle grandi metafore che la politica richiede, è nelle cose e nella storia del partito. Oggi è accettato e “funziona” come simbolo, viene identificato come Partito Democratico, ma è quello che c’è “dietro” che non funziona, manca nel marchio come nel partito.
Inoltre tradizionalmente ogni committente decide in relazione ai propri gusti, valori, immaginario; sono troppi gli elementi della scelta e, a mio parere, non serve più discutere – è stato affidato al Sindaco di Salerno un mandato ben più ampio della scelta di un marchio, da parte di una maggioranza unica e storica per dimensione di consenso – ora si dovrà porre mano allo sviluppo di una strategia che consiste in un Piano di marketing, ovvero di come usiamo il sistema di identificazione del “brand Salerno”. Le critiche sono sempre utili quando espresse con rispetto e qualità, anche polemica, ma senza alzare i toni. Io stesso sono stato oggetto di attacchi poco delicati per non aver preso una posizione netta che, secondo i miei critici, avrebbe dovuto essere contro il monogramma di Vignelli. Bontà loro!
Il marketing della Salerno del futuro
Ormai questa parte della vicenda della città si avvia quando le grandi direttrici dello sviluppo urbanistico ed economico sono state tratteggiate ed è nata una “Vision” di Salerno, un modello di sviluppo, al quale molte altre realtà guardano con attenzione.
Ora il primo tema a mio avviso è il posizionamento del brand ed il suo utilizzo coente, articolato e disciplinato, che dovrebbe essere condiviso da tutti gli “attori” del territorio, insieme ad una chiara visione del suo pubblico obiettivo (i target).
Che non si possa “comunicare tutto a tutti” sembra un concetto non ancora divenuto patrimonio di molti, ma è la segmentazione (la divisione dei destinatari in classi di reddito, cultura, propensione alla spesa, gusti), la base di ogni strategia di comunicazione.
Non sfuggirà il fatto che se si prevede un “marchio Salerno” significa che non tutto quello che si produce in questa città potrà e dovrà essere “brandizzato”, anzi sul cosa, sul come, e sul chi dovrà e potrà usarlo, ci sarà da lavorare. Mi pare che la prima cosa da governare debba essere l’esigenza di una produzione di gadget, evitando però l’iperproduzione senza regole e con scarsità di focalizzazione degli obiettivi di marketing.
La mia speranza è che gli attori economici della città, Comune, Camera di Commercio, mondo delle imprese, operatori del turismo, possano e sappiano ritrovarsi nel comune intento di promuovere il territorio ideando “prodotti” e strumenti di marketing per offrire un modo nuovo di godere della città, del suo patrimonio storico culturale e di servizi innovativi (che ancora non abbiamo). Finora si è parlato fin troppo di brand e poco di azioni condivise.
Che le linee guida debbano essere indicate dal Comune mi appare naturale, ma che andrebbe creato un team di esperti, non pletorico, professionale, ridottissimo, che sviluppi il Piano di strumenti, mi sembrerebbe forse altrettanto naturale. Il “dolce Salerno” di Sal De Riso è stato già lanciato. Aspettiamo a vederne la diffusione.
Ma si potrebbe anche pensare ad una “Carta di credito per Salerno” da utilizzare nel territorio salernitano, che consenta l’accesso a formule “Tutto compreso” (non amo la parola pacchetto), con pernottamento, cena, visita guidata alla città, sarebbe già un bell’impegno. Il settore retail potrebbe aderire all’iniziativa, offrendo sconti a chi la utilizza. Non sarebbe questa anche la missione di istituti di credito che affermano di investire nel territorio dove raccolgono? Questo strumento – insieme ad altri – potrebbe avere il vantaggio di una fidelizzazione degli ospiti e farebbe anche aumentare la propensione alla spesa.
Gran parte delle attività del piano potrebbero essere veicolate e gestite da un portale web, creato con il supporto di tutti i partner, pubblici e privati, che intendessero investire nel “brand Salerno”. Al portale – centro di raccolta di soggetti partecipanti – andrebbe anche affidata l’azione di sviluppo e di fidelizzazione degli ospiti. Ma non è questione informatica, ovviamente, quanto di un piano di gestione ma anche di implementazione del “brand Salerno” e di focalizzazione. Se si guarda, solo come esempio, all’esperienza “Verona in love”, si può capire bene cosa significhi il focus di una strategia, tuttavia le “firme” delle istituzioni, nell’esperienza veronese sono ancora all’antica, ciascuno per proprio conto, mentre l’obiettivo di un brand dovrebbe essere proprio il superamento della proliferazione di stemmi e dei marchi, che andrebbero sostituiti da un unico elemento grafico che li rappresenti tutti, ma senza passerelle.
Inoltre alcuni eventi, di particolare rilievo culturale, molto selezionati, potrebbero offrire una ragione in più per venire in città e restarci (ricettività permettendo).
Non escluderei la rete dei trasporti, anche la CSTP con uno sforzo congiunto e per periodi determinati, potrebbe potenziare alcuni percorsi (ad es. dal Cilento, dall’Agro, dall’aereoporto), i possessori del titolo – grazie ad apposite convenzioni di co-branding – potrebbero beneficiare di sconti e facilitazioni.
Il “brand Salerno” dovrebbe dunque promuovere l’eccellenza di questa città, senza eccessi di presenze burocratiche in occasioni generalizzate.
L’immagine della città
Una degli effetti più significativi della intensa attività di marketing urbano svolta su impulso del Sindaco De Luca è certamente la completa trasformazione dell’immagine della città di Salerno presso i napoletani, intendendo Napoli come uno dei bacini di utenza primari che una strategia marketing deve considerare.
La capitale del Regno storicamente ha avuto con Salerno un rapporto, diciamo difficile, anche perché in qualche caso affaticato da una sorta di subalternità di una città media di provincia che fatica a riconoscere il primato del capoluogo, in un confronto davvero improponibile. Tuttavia questo rapporto mi ha visto testimone divertito di una transizione impensabile solo qualche anno addietro. Vivo personalmente da oltre un trentennio una condizione piuttosto singolare, abitando a Napoli e lavorando prevalentemente a Salerno, sono passato da provinciale immigrato, che necessitava il “passaporto” per essere accolto nei salotti buoni della dimensione metropolitana, a fortunato salernitano, figlio di un’immagine della città che viene ormai percepita con una luce del tutto nuova e inedita, come un modello di sviluppo sociale, economico, urbanistico e anche imprenditoriale.
Andare a cenare a Salerno, a passare un pomeriggio o una serata visitando la città è qualcosa che ormai merita, ma solo da qualche anno. Molti napoletani, indipendentemente dal livello di istruzione e reddito, non conoscevano il Duomo, né il centro antico, e mai avrebbero pensato ad un passeggio a lungomare, senza intralci di tristi bancarelle e fastidi annessi. Anche se proprio il lungomare meriterebbe un ripensamento di funzioni ed una valorizzazione, per la sua unicità e dopo la distruzione delle storiche palme.
Sarebbe certamente interessante considerare come sia “rozza” questa trasformazione della percezione di una realtà mutata in gran parte grazie ai media.
Ma Salerno ha costruito questa reputazione sulla “concretezza” di una amministrazione unica per creatività e innovazione, il che conferma che non si può vivere di sola “immagine” e il caso Salerno è un esempio lampante di come un’immagine positiva ed un successo di marketing territoriale si debba a cose concrete: grandi firme dell’architettura, del design, ma sviluppo urbanistico e infrastrutturale accuratamente progettato, incremento dei flussi turistici provenienti dall’italia e dall’estero, buone prassi amministrative.
È questa nuova percezione della città che veicola la nuova immagine, una dimensione immateriale, intangibile che ha poco a che fare con il design; la città è cambiata perché “governata” e la percezione che ne hanno gli stakeholder (come direbbero quelli del marketing) è la reale proiezione che ne danno la comunicazione ed il branding, ovvero la costruzione di una marca fondata sul concreto delle iniziative e delle prassi virtuose.
In altri termini il brand Salerno ormai deve promuovere “cose”: prodotti, servizi, eventi, non più se stesso. Il primo senso di un brand è “qualcosa che rinvia a qualcos’altro”, proprio Sant’Agostino spiegava il segno come “aliquid stat pro aliquo”.
Pino Grimaldi