Montessori designer?
L’interrogativo non vuole essere una provocazione, è probabilmente un’iperbole, ma intende soltanto suggerire la possibilità di interrogarsi su un’ipotesi scientifica, formulata con il più autentico approccio teoretico, nel senso etimologico proprio del theorein, il conoscere disinteressato e puro, l’aristotelico, metafisico, teoreo: il capire il senso nascosto o il plutarchesco oggetto dell’indagine, della ricerca.
L’obiettivo è quello di comprendere se nell’attività di ricerca e progettazione del proprio metodo educativo, Maria Montessori abbia percorso – e direi magari ora anche decisamente precorso - alcune delle metodologie del design, che questo itinerario sia stato condotto – e con quanta affinità – parallelamente ai metodi del design che si andavano delineando negli anni che vanno dalla fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento. Si tratta di un periodo precedente alla nascita delle grandi scuole nelle quali sono state formulate, sul piano della più empirica sperimentazione sul campo, le prime metodologie didattiche del design ed è nata la stessa idea compiuta del design, vissuta quasi come una ideologia.
La fonte principale di tale indagine è proprio la dottoressa, i suoi scritti, primo fra tutti il “Metodo della Pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle case dei bambini”, la cui prima edizione risale al 1909. La nostra finestra d’indagine pertanto va dal 1896, anno del conseguimento della Laurea in medicina, al 1909, anno della pubblicazione de “Il Metodo”, la cui Edizione critica è stata solo da pochi anni pubblicata nelle edizioni dell’Opera Nazionale Montessori, in Roma nel 2000, a cura di Paola Trabalzini ((Montessori, 2000; Trabalzini, 2003).
Si tratterà di verificare se siamo di fronte ad uno di quei casi fortuiti della scienza che fanno coincidere due strade, come quella di una protagonista della Pedagogia del Novecento e quella del design, disciplina “giovane” che pone i propri fondamenti scientifici e le prime teorizzazioni più significative, proprio tra la fine dell’Ottocento ed i primi decenni del Novecento. In qualche modo il design, inteso come disciplina di sintesi di quell’area delle arti applicate alla produzione industriale, si manifesta e si consolida proprio nella sua prima istituzione che in qualche modo ne formalizza la nascita, ovvero la scuola della Bauhaus. Oppure ci troveremo a considerare che magari siamo noi, alla luce degli studi e delle conoscenze sull’uno e sull’altro mondo che, “a posteriori”, vorremmo ascrivere il metodo Montessori, o almeno una parte di esso, ad alcune prassi operative del Design e, in particolare la sua parte introduttiva, ovvero la metodologia della formazione preliminare del designer, detta basic design (Anceschi, 1983, 2006; Simonini, 2006). O forse, ancora più pragmaticamente, con la curiosità dei designer che utilizzano gli studi per dare metodo scientifico al proprio fare, vorremmo ritrovare nel lavoro della Montessori affinità, spunti di ricerca, suggerimenti o percorsi; vorremmo rileggerlo dal punto di vista delle metodologie del design, quale viatico ancora oggi eccezionalmente attuale e innovativo.
Dunque la domanda “Montessori designer?”, sebbene formulata con una lieve ironia ed una prudente consapevolezza della forzatura, resta una strada tutta da percorrere da parte degli studiosi e dei designer che vorremmo coinvolgere nel nostro itinerario di ricerca. Potrà risultare lo spunto per approfondire le conoscenze di tipo pedagogico che nel settore del design, ed in particolare nel suo versante didattico sono, a tutt’oggi, ancora così fragili.
Questa era la mia primitiva ipotesi di lavoro, prima di avventurarmi nello straordinario mondo di Maria Montessori e di restarne colpito e coinvolto; e tuttavia tale sensazione mi è sembrata particolarmente condivisa da tutti i suoi esegeti, ma talvolta anche dai suoi critici e detrattori.
Gli aspetti salienti che caratterizzano la personalità di Maria Montessori come una delle figure più significative della cultura del Novecento italiano e internazionale, che risultino utili all’ipotesi formulata, sono molti e piuttosto noti a tutti gli specialisti e studiosi montessoriani, ma non sarà del tutto inutile sintetizzarli brevemente, ancora una volta, a beneficio del lettore esperto di design, che magari non conosce profondamente la statura del personaggio e la sua attività di scienziata e di ricercatrice, particolarmente creativa, che ha saputo unire, in un rapporto dialettico, forse unico nel panorama pedagogico del primo Novecento, proprio scienza e creatività. (Utilizzerò il termine creatività, non senza qualche disagio, non disponendo di altri sinonimi meno fuorvianti; del resto anche Scocchera, che mi ha aperto un dotto e straordinario viatico alla conoscenza della dottoressa, parla di “creatività scientifica”, Scocchera, 1997:10). Inoltre nel saggio contenuto nella edizione critica del Metodo, Scocchera chiarisce autorevolmente i debiti scientifici di Montessori con i grandi del pensiero del suo tempo da Rousseau, a Pestalozzi a Fröbel e li colloca con una presenza “assai modesta o insignificante” nel proprio itinerario scientifico (Scocchera, 2000: XXXIII), conclude infatti scrivendo: “Sembra dunque che i tre grandi dell’educazione non abbiano dispensato molti doni alla Montessori […] che la sua teoria educativa aveva proprie gambe” (ibidem, p. XXXVI). Altra guida alla finestra temporale di nostro interesse, che occupa meno di tre lustri (dalla laurea in medicina nel 1896, alla pubblicazione del Metodo, 1909) è il contributo di Paola Trabalzini (Trabalzini, 2002), che tratteggia il profilo della pedagogista marchigiana, sulla base delle fonti più note e accreditate fino ad oggi conosciute.
Montessori fu la prima donna laureata in medicina in Italia, pubblicò la sua tesi nel 1897. Individuò i temi della psicoanalisi, quasi assenti in Italia negli studi del suo tempo. Fu ammirata e apprezzata da Freud che “desiderò dichiarare la sua piena concordanza nei principi scientifici ed ideali di Maria Montessori”, era il 1917 (Scocchera, 1997:100).
C’è poi la Montessori femminista: che ha rappresentato il femminismo italiano – definito anche come “femminismo scientifico” (Babini, Lama, 2003) – nel primo convegno europeo del 1899; inoltre è stata anche una delle maggiori relatrici al primo convegno femminista italiano del 1908, diversamente dalle altre femministe, anche in questo aspetto procede controcorrente: “lei adorna la morbida persona con grazia femminea, sovente in un fluttuare di veli” scrive di lei una studentessa di magistero (Schwegman, 1999:47).
Segue un lungo saggio.